Addestramento mentale per l’ambito intermedio e avanzato del Lam-rim

Versi da 8 a 37

Astenersi dal comportamento distruttivo

(8) La pratica di un bodhisattva è di non commettere mai nessuna azione negativa, persino al costo della nostra vita, poiché l’Abile Saggio ha dichiarato che le sofferenze estremamente difficili da sopportare degli stati peggiori di rinascita sono il risultato di azioni negative.

Semplicemente se facciamo del bene, ci sarà del bene come conseguenza, e se facciamo del male, questo produce cose negative. L’effetto che ne deriva è nella stessa categoria della causa. Funziona sempre e inoltre, da piccole cause possiamo sperimentare risultati estesi.

Anche nelle nazioni, qualunque condizione orribile che accade proviene da forze negative che si sono accumulate da precedenti azioni distruttive. In Tibet ad esempio a volte abbiamo siccità; il nostro raccolto va male; a volte abbiamo guerre, invasioni eccetera. Tutte queste sono dovute alle nostre azioni distruttive passate e alla nostra assenza di forza positiva. Se non abbiamo nessuna forza positiva accumulata dalle nostre azioni passate, allora non importa quello che facciamo, ciò non produrrà buone condizioni. Pertanto abbiamo bisogno sempre di desiderare la felicità degli altri. Come ad esempio riguardo ai cinesi, possiamo soltanto desiderare il meglio per loro. Non dobbiamo desiderare che gli accada qualcosa di brutto. Ciò che provano sarà il risultato delle loro stesse azioni.

Il comportamento distruttivo proviene dalle nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti e, agendo in questo modo, accumuliamo forza negativa, che non produce altro che sofferenza per noi. Le azioni distruttive possono essere del corpo, parola, o mente. Un esempio per un’azione del corpo sarebbe di uccidere, togliere la vita a chiunque, da un essere umano ad un insetto. Uccidere è una cosa molto negativa, quindi dobbiamo astenerci il più possibile dal farlo.

Tutti gli esseri hanno un uguale diritto alla vita e amano la vita proprio quanto noi. Se pungiamo il nostro dito con una spina, noi diciamo: “Ahi, mi fa male”. Tutti quanti provano la stessa cosa, tutti gli esseri. È specialmente terribile sacrificare gli animali; fanno ancora questo in alcuni posti. In passato facevano queste cose nel Kinnaur, nello Spiti, e in alcuni posti nel Nepal, e persino in alcuni distretti in Tibet. Superficialmente, le persone lì prendono rifugio in me, il Dalai Lama, e poi sacrificano animali. Questo è proprio terribile. Dire il mantra della compassione, “Om mani padme hum”, e fare sacrifici, questo non andrà mai bene.

Il prossimo è rubare. Anche questa è una cosa molto negativa. Il comportamento sessuale inappropriato è di avere relazioni con il partner di un’altra persona, o con qualcuno che ha una relazione con qualcun altro, e non vedere nulla di sbagliato nel fare così. Quando esaminiamo la letteratura storica, la gran parte delle varie battaglie e dissensi nelle famiglie reali proviene da comportamenti sessuali scorretti. È molto distruttivo.
 
Il prossimo è mentire. Anche questo è estremamente negativo. Ovviamente mentire per proteggere la vita di qualcuno è un’altra cosa, ma abbiamo sempre bisogno di essere onesti. Se mentiamo, ciò produce soltanto infelicità. Abbiamo paura che qualcuno possa scoprirci. Questo genera una mente molto inquieta, giusto?

Il prossimo è il linguaggio che divide, e questo fa sì che gli altri siano ostili e distanti. Ascoltiamo cose cattive su qualcuno e poi le diffondiamo; questo è molto distruttivo. Dobbiamo cercare di unire le persone. Quando le persone vivono e lavorano insieme, la loro armonia si basa sulla fiducia reciproca. Quando esaminiamo i cinesi, ad esempio, si rivolgono a tutti con la [parola] “camerati”, ma questo è soltanto al tavolo di confronto. All’esterno non condividerebbero nemmeno un sapone con gli altri. Questo perché non hanno fiducia, non si fidano gli uni degli altri. E questo proviene dal causare dissenso tra gli altri. Pertanto non usate mai un linguaggio che divide.

Il prossimo è utilizzare un linguaggio oltraggioso, chiamando le altre persone “pezzenti” eccetera. Questo ferisce i loro sentimenti: non crea affatto felicità. Spettegolare vuol dire chiacchierare, dire sempre cose insignificanti; è una totale perdita di tempo.

Poi c’è il pensare con bramosia. Qualcun altro ha qualcosa di bello, che vorremmo avere, e camminiamo indirizzando tutta la nostra attenzione verso quest’oggetto e desideriamo soltanto averlo. Se non siamo prudenti, finiremo dritti contro un muro!

Il prossimo è pensare con cattiveria. Anche questo è molto negativo. Semplicemente ci rende infelici. Solitamente non danneggia l’altra persona; danneggia solo noi. È molto autodistruttivo portare rancore e augurare il male ad altre persone. Non possiamo mai risolvere problemi portando rancore. I problemi possono soltanto essere risolti mediante la compassione, l’amore, e la pazienza; quindi non abbiate mai cattive intenzioni. Per ultimo abbiamo il pensiero distorto e antagonista: negare ciò che esiste o che è vero, inventare qualcosa che non esiste o che non è vero.
 
Questi dieci, dal togliere la vita a qualcuno al pensiero antagonista e distorto, sono le dieci azioni distruttive. Abbiamo bisogno di comprendere i loro svantaggi e di astenerci dal metterle in atto. La pratica effettiva è, notandone gli svantaggi, di evitare, con uno sforzo cosciente e una perseveranza gioiosa, di uccidere, mentire, eccetera. Anche se non possiamo evitare di compiere queste azioni totalmente, dobbiamo cercare di ridurle il più possibile. Questo è ciò che segue dal prendere una direzione sicura.

Ora siamo giunti agli insegnamenti per quando abbiamo una motivazione di livello intermedio.

Lavorare per la liberazione

(9) La pratica di un bodhisattva è di avere un profondo interesse nello stato supremo e immutabile della liberazione, poiché i piaceri dei tre piani dell’esistenza compulsiva sono fenomeni che periscono in un mero istante, come rugiada sulle punte dell’erba.

Non importa dove nasciamo nei tre regni dell’esistenza compulsiva, è come essere semplicemente in piani diversi di un palazzo in fiamme. C’è sofferenza ovunque, quindi abbiamo bisogno, a tutti i costi, di essere liberi da questo. Il samsara, l’esistenza che si ripete in modo incontrollabile, si riferisce agli aggregati sofferenti, mischiati alla confusione, che riceviamo dal karma e da emozioni e atteggiamenti disturbanti. Dobbiamo rifletterci sopra. Sebbene abbiamo una preziosa rinascita umana, eppure se siamo sotto il potere del karma e delle emozioni disturbanti e non abbiamo nessuna indipendenza, possiamo solo creare più sofferenza. Pertanto dobbiamo cercare di liberarci da queste sindromi che si ripetono. Qualunque piacere mondano che abbiamo non è definitivo. Sono semplicemente superficiali e soltanto temporanei. Possiamo cadere in una rinascita peggiore in qualunque momento.

Se la sofferenza proviene dalle nostre stesse facoltà fisiche e mentali aggregate, che sono sotto il potere del karma e delle emozioni disturbanti, allora come possiamo sfuggire ai nostri aggregati che sono macchiati dalla confusione? Pensateci. Se i nostri stessi aggregati sono nella natura della sofferenza, come possiamo sfuggire ad essi?
 
La fonte della sofferenza risiede nelle nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti, e quelli principali sono l’attaccamento e l’avversione. Entrambi provengono dall’inconsapevolezza (ignoranza), l’inconsapevolezza di afferrarsi all’esistenza intrinseca, ma questa è una visione distorta. Dall’altro lato, coltivando l’opponente per questo – ovvero la visione opposta che l’esistenza intrinseca non esiste affatto e familiarizzandoci con essa – allora più dimestichezza abbiamo con la visione corretta, tanto minore sarà la nostra inconsapevolezza.

Le macchie dell’inconsapevolezza sulla mente sono passeggere; possono essere rimosse. L’inconsapevolezza di afferrarsi all’esistenza intrinseca e la comprensione della mancanza di esistenza intrinseca sono entrambe indirizzate allo stesso oggetto. Pertanto quando abbiamo uno, non possiamo simultaneamente avere l’altro. È in questo modo che la consapevolezza discriminante o la saggezza della vacuità agisce come l’opponente dell’inconsapevolezza. Con questa consapevolezza discriminante, ci liberiamo dell’attaccamento e dell’avversione e così otteniamo la liberazione dalla sofferenza.

Alcune persone dicono che l’attaccamento e l’avversione (o ostilità) sono naturali: sono parti della natura della mente. Dicono che è come se una persona non fosse viva, se lui o lei non avesse sentimenti del genere. Ma se questi fossero parti della natura della mente, allora proprio come è il caso quando accettiamo la mera consapevolezza e lucidità come la natura della mente, questi sentimenti di attaccamento e ostilità dovrebbero essere presenti tutto il tempo. Ma possiamo notare che la rabbia può essere domata, non dura per sempre. Quindi è una visione errata sentire che siano parti naturali della vita, e che sia nella natura della mente avere attaccamento e avversione.

Abbiamo bisogno di consapevolezza discriminante, allora, per vedere le due verità: dal punto di vista più profondo tutto è privo di esistenza intrinseca, eppure convenzionalmente, l’origine dipendente non è mai falsa. Questo è l’addestramento nella consapevolezza discriminante superiore, e per ottenerla abbiamo bisogno dell’addestramento nella concentrazione superiore come suo fondamento, al fine di non avere nessuna divagazione mentale eccetera. Per questo abbiamo bisogno dell’addestramento nell’autodisciplina etica superiore, come monaco/monaca oppure come laico. Ad esempio ci sono i voti per i laici, i cinque voti, ed è importante almeno mantenere questi. Dunque abbiamo bisogno di praticare i tre addestramenti superiori.

Poi abbiamo gli insegnamenti per quando abbiamo una motivazione di livello avanzato.

Sviluppare un obiettivo di bodhichitta 

(10) La pratica di un bodhisattva è di sviluppare un obiettivo di bodhichitta per liberare un numero infinito di esseri, perché se le nostre madri, che sono state gentili con noi da tempo senza inizio, stanno soffrendo, cosa possiamo fare (soltanto) con la nostra felicità?

Tutti gli esseri limitati, diffusi come lo spazio, desiderano la felicità e nessuna sofferenza, proprio come noi. Sono così numerosi e, se li ignoriamo e pensiamo soltanto ai nostri scopi, questo è patetico, e anche sleale. Dobbiamo mettere noi stessi da un lato e tutti gli altri esseri dall’altro. Noi tutti desideriamo la felicità e non vogliamo soffrire; l’unica differenza è che noi siamo una persona sola e gli altri sono un numero infinito. Quindi chi penserebbe che è giusto o ragionevole favorire una persona rispetto a tutti gli altri?

I bodhisattva lavorano e desiderano soltanto la felicità degli altri. Non c’è bisogno di dire che ovviamente raggiungono l’illuminazione, ma oltre a questo, mentre sono sul sentiero non diventano infelici. Più lavorano duramente per gli altri e più ignorano loro stessi, più felici diventano, il che li incoraggia a lavorare ancora più duramente. Ma se lavoriamo soltanto per i nostri scopi e ignoriamo gli altri, tutto quello che otteniamo è infelicità, insoddisfazione, e scoraggiamento. È buffo che sia così. Quindi dobbiamo cercare di diminuire il nostro egoismo ed aumentare il più possibile il nostro interesse per gli altri; facendo così scopriremo che, inoltre, saremo persone più felici.

Se lavoriamo soltanto per gli scopi degli altri, com’è descritto nel testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva, non avremo mai paura dove o in quali condizioni potremmo rinascere. Dovunque ci troveremo, lavoreremo lì per aiutare gli altri. Nagarjuna sottolineò lo stesso punto nel suo testo Ghirlanda preziosa. Lavorare soltanto per il bene degli altri e ignorare i nostri scopi è il modo per ottenere la buddhità.

Diciamo di essere praticanti Mahayana, ma come disse Tsongkhapa, dobbiamo avere una personalità Mahayana per essere considerati praticanti Mahayana. Pertanto abbiamo bisogno di lavorare per il bene degli altri. Se ci guardiamo attorno per [trovare] modi di essere utili e se sviluppiamo una determinazione di bodhichitta, allora automaticamente le cose funzioneranno per aiutare chiunque. Quindi abbiamo bisogno il più possibile di seguire l’addestramento e la pratica Mahayana. Capite?

Ora chi è un bodhisattva? In maniera simile a ciò che ho spiegato per la parola Buddha, la prima sillaba del tibetano per “bodhi” è “jang” (byang) che significa eliminare i difetti, mentre la seconda, “chub” (chub), significa ottenere tutte le buone qualità. Effettivamente ci sono due “bodhi” o stati purificati e ciò a cui si fa riferimento qui non è quello minore degli Arhat, ma quello superiore dell’illuminazione di un Buddha. “Sattva” significa un individuo la cui mente è volta a questo ottenimento di uno stato superiore purificato del bodhi, l’illuminazione, per aiutare tutti.

Quindi abbiamo bisogno di due obiettivi congiunti. Abbiamo bisogno di rivolgerci ad esseri limitati per aiutarli e di puntare all’illuminazione per essere in grado di farlo. Questa è la determinazione di bodhichitta ed è questo ciò che dobbiamo sviluppare. Come lo facciamo?

Scambiare sé stessi con gli altri

(11) La pratica di un bodhisattva è di scambiare puramente la nostra felicità personale con la sofferenza degli altri, poiché (tutte) le nostre sofferenze, senza eccezioni, provengono dal desiderare la nostra felicità personale, mentre un Buddha pienamente illuminato nasce dall’atteggiamento di desiderare il bene degli altri.

Com’è che tutta la sofferenza proviene dal desiderare soltanto la nostra stessa felicità? Tale desiderio egoista ci porta a commettere molte azioni distruttive per raggiungere i nostri obiettivi egoisti e, di conseguenza, proviamo sofferenza. La buddhità, dall’altro lato, proviene dall’aiutare gli altri. Pertanto abbiamo bisogno di scambiare i nostri atteggiamenti e, invece di desiderare la nostra felicità personale e ignorare la sofferenza degli altri, abbiamo bisogno di desiderare soltanto la felicità degli altri e di ignorare noi stessi.

Per farlo, ci addestriamo nella pratica conosciuta come “prendere e dare” (tonglen), ovvero prendere la sofferenza degli altri e dare loro la nostra felicità. Per aiutarci a fare questo, c’è una visualizzazione molto buona e utile. Abbiamo bisogno di visualizzarci nelle nostre forme ordinarie alla destra, egoisti e desiderosi soltanto della nostra felicità. Alla sinistra, visualizzate un numero infinito di esseri, tutti desiderosi di felicità. Allora abbiamo bisogno di farci da parte nelle nostre menti come un testimone e giudicare: “Chi è più importante, questa persona egoista qui o tutti gli altri?”. Pensate a quale lato favoriremmo e a quale lato vorremmo aderire – il lato della persona egoista o quello di tutti questi esseri patetici, che ugualmente meritano la felicità? Questa e altre pratiche citate nel testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva sono di grande aiuto.

Il comportamento del bodhisattva: fronteggiare il male

(12) La pratica di un bodhisattva consiste nel, anche se qualcuno sotto il potere di grande desiderio ruba o fa in modo che altri rubino tutta la nostra ricchezza, dedicare a lui i nostri corpi, risorse, e azioni costruttive dei tre tempi.

Ora abbiamo sviluppato una determinazione di bodhichitta. Tuttavia, per ottenere l’illuminazione, dobbiamo impegnarci nel comportamento dei bodhisattva. Se qualcuno ci deruba, c’è il pericolo di arrabbiarsi. Ma se pratichiamo per ottenere l’illuminazione e dare tutto agli altri, allora questo cosiddetto ladro già possiede i nostri beni precedenti. Li ha presi ora perché in effetti sono già suoi. Pertanto dobbiamo dedicare a lui non soltanto questi beni che ha preso, o che pensiamo abbia rubato da noi, ma ancor di più i nostri corpi e le azioni costruttive dei tre tempi.

(13) La pratica di un bodhisattva è, anche se uno dovesse tagliarci la testa pur non avendo la minima colpa, di accettare su noi stessi le sue conseguenze negative, attraverso il potere della compassione.

Se gli altri ci danneggiano, abbiamo bisogno di avere compassione verso di loro e di accettare su noi stessi tutti i danni degli altri.

(14) La pratica di un bodhisattva è, anche se qualcuno dovesse rendere pubbliche per tutte le migliaia, milioni, miliardi di mondi ogni genere di cose sgradevoli su di noi, di parlare in risposta delle sue buone qualità, con un atteggiamento di amore.

Quando gli altri ci maltrattano o dicono cose cattive su di noi, abbiamo bisogno di smettere di dire qualunque cosa cattiva in risposta. Non rispondete mai dicendo cose cattive, ma parlate semplicemente dicendo cose gentili su di loro, come spiegò Shantideva nel suo testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva.

(15) La pratica di un bodhisattva è, anche se uno espone i nostri difetti o dice parole cattive (su di noi) nel bel mezzo di un raduno di molti esseri erranti, di inchinarsi a lui con rispetto, distinguendo come (lui sia il nostro) maestro spirituale.

Anche se gli altri ci umiliano o ci imbarazzano di fronte agli altri, abbiamo bisogno di agire com’è insegnato nei metodi per purificare i nostri atteggiamenti (addestrare la mente). Se altri ci disonorano o indicano i nostri difetti, in effetti sono i nostri maestri. Pertanto abbiamo bisogno di ringraziarli per il fatto che ci rivelano i nostri difetti e mostrare loro grande rispetto.

(16) La pratica di un bodhisattva è, anche se una persona di cui ci siamo occupati, prendendoci cura di lui come fosse il nostro stesso figlio, dovesse considerarci come il suo nemico, di avere un affetto speciale per lui, come una madre verso il suo bambino colpito da una malattia.

Se un bambino è birichino quando sta male, non importa quanto faccia il cattivello, sua madre ancora lo ama. Abbiamo bisogno di vedere tutti gli esseri in questo modo.

(17) La pratica di un bodhisattva è, anche se un individuo, nostro pari o inferiore, dovesse trattar(ci) in modo offensivo per il potere della sua arroganza, di riceverlo sulla cima della nostra testa con rispetto, come un guru.

La stessa cosa è vera quando gli altri cercano di competere con noi. Abbiamo bisogno di sviluppare pazienza. Come si dice nel testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva, se non avessimo nemici, non potremmo sviluppare la pazienza. Pertanto abbiamo bisogno di qualcuno che sia fastidioso verso cui sviluppare un atteggiamento tollerante. Non possiamo sviluppare la pazienza con le nostre menti rivolte ai guru o a un Buddha. Abbiamo bisogno di un nemico a cui indirizzarla.

Ad esempio, penso a me stesso. Se qualcuno scrive nel giornale o chiama il Dalai Lama un debole rifugiato eccetera, se pratico sinceramente, cercherò di sviluppare pazienza con lui o lei. Siccome abbiamo bisogno di un maestro che ci aiuti ad allenarci nella pazienza, un nemico o qualcuno che ci odia è molto importante come questo maestro.

Se ci riflettiamo, i nemici sono estremamente importanti, giusto? Se pratichiamo il Mahayana, abbiamo bisogno di coltivare pazienza e di sopportare situazioni difficili. Come possiamo realmente praticare il Mahayana senza nemici? In breve, per scambiare i nostri atteggiamenti riguardo noi stessi e gli altri, abbiamo bisogno di molte prove e tribolazioni, molte situazioni complicate. Pertanto i nemici o le persone che sono molto fastidiose e difficili sono estremamente importanti e preziose.

Due situazioni critiche che richiedono la pratica del Dharma

(18) La pratica di un bodhisattva è, anche se siamo privi di mezzi di sostentamento e insultati sempre dalla gente, o ammalati con terribili malattie, o afflitti da fantasmi, di accettare su noi stessi, in risposta, le forze negative e le sofferenze di tutti gli esseri erranti e non scoraggiarsi.

Ci sono due situazioni molto critiche per la pratica del Dharma. Una è quando, per via di cause passate, ci troviamo in momenti molto difficili, poveri e così via. Allora ci scoraggiamo. L’altra è quando ci troviamo in una situazione estremamente confortevole e ricca. Allora diventiamo orgogliosi e arroganti.

Dobbiamo stare attenti in entrambi i casi. Se siamo molto ammalati, ad esempio, allora se pratichiamo lo scambio di noi stessi con gli altri e anche il prendere e il dare, saremo felici di essere ammalati. In effetti, desidereremo farci carico della malattia e della sofferenza degli altri.

(19) La pratica di un bodhisattva è, anche se siamo dolcemente elogiati, con molti esseri erranti che si inchinano a [noi] con le loro teste, o abbiamo ottenuto (ricchezze) paragonabili alla fortuna di Vaishravana (il Guardiano della Ricchezza), di non essere mai presuntuosi, vedendo come la prosperità mondana non abbia nessuna essenza.

Questo è l’altro estremo, l’altra situazione potenzialmente pericolosa. Se siamo molto stimati e tutto va bene per noi, potremmo diventare molto orgogliosi per questo, pigri e arroganti. Poiché questo blocca la nostra pratica, abbiamo bisogno di vedere che tale buona fortuna mondana non ha proprio nessuna essenza.

Superare l’ostilità e l’attaccamento

(20) La pratica di un bodhisattva è di domare i nostri continua mentali con le forze armate di amore e compassione perché, se non abbiamo soggiogato il nemico, che è la nostra stessa ostilità, allora anche se abbiamo soggiogato un nemico esterno, ne arriveranno di più.

Non c’è nessun nemico peggiore della rabbia. Se osserviamo il mondo, ad esempio la situazione della Seconda Guerra Mondiale, possiamo notare che fu provocata dalla rabbia e dall’odio. A quel tempo, le nazioni occidentali e la Russia erano alleate e sebbene abbiano vinto la guerra, ciò non sconfisse la loro ostilità! Siccome hanno ancora questo veleno, vediamo che l’Unione Sovietica è contrapposta all’occidente, sono nemici. Se ci sarà ancora una guerra in futuro, avverrà a causa della rabbia e dell’odio. Ma se desideriamo avere pace e felicità, questo non può mai avvenire senza l’eliminazione di questi atteggiamenti negativi. La pace e la felicità si verificherà solo se sviluppiamo amore e compassione. Pertanto abbiamo bisogno di allenarci nelle arti marziali di amore e compassione per superare l’odio.

(21) La pratica di un bodhisattva è di abbandonare immediatamente qualunque oggetto che provochi l’aumento del nostro attaccamento e dell’aggrapparsi, poiché gli oggetti del desiderio sono come l’acqua salata: più ci siamo concessi (a loro, la nostra) sete (per questi) aumenta (a sua volta).

Non importa ciò da cui siamo attratti, non ne siamo mai soddisfatti; non ne abbiamo mai abbastanza. È come bere acqua salata: non ci soddisferà mai, come è descritto nella Ghirlanda preziosa. Pensate a quando, ad esempio, abbiamo un’eruzione cutanea. Se la grattiamo, ci sentiamo bene. Ma se siamo attaccati a quella bella sensazione, allora se continuiamo a grattarci, questo peggiorerà la situazione. Diventa dolorante, comincia a sanguinare, si infetta, è un casino. La cosa migliore consiste nel curare l’eruzione cutanea alla radice, in modo tale da non avere nessun desiderio di grattarci.

Sviluppare il bodhichitta più profondo, la realizzazione della vacuità

(22) La pratica di un bodhisattva è di non tenere a mente caratteristiche intrinseche di oggetti conosciuti e menti che li conoscono, realizzando semplicemente come sono le cose. A prescindere da come appaiano le cose, esse vengono dalle nostre stesse menti; e la mente-stessa è, sin dall’inizio, separata dagli estremi dell’elaborazione mentale.

Questa sembra essere un’espressione della visione Svatantrika per cui caratteristiche intrinseche esistono convenzionalmente, ma non esistono affatto dal punto di vista della visione più profonda, ma questo non è necessariamente il caso. Quando qui si dice che le apparenze provengono “dalle nostre stesse menti”, ciò significa che sono il gioco delle nostre menti nel senso che il karma accumulato attraverso le nostre menti determina tutte le apparenze. La mente stessa, sin dall’inizio, è libera dagli estremi dell’esistenza intrinseca.

Se capiamo questo, allora non terremo a mente che “questa” è la coscienza che comprende la vacuità e “quello” è l’oggetto di questa coscienza, ovvero la vacuità. Al contrario semplicemente piazzeremo le nostre menti in assorbimento totale sulla pura nullificazione non implicante (negazione non affermante) che è la vacuità – l’assenza assoluta di tutti i modi impossibili di esistere. Questa è la pratica delineata qui.

(23) La pratica di un bodhisattva è, quando si incontrano oggetti piacevoli, di non considerarli come veramente esistenti, sebbene appaiano bellissimi, come un arcobaleno d’estate, e (così) di liberarci dall’attaccamento e dall’aggrapparsi.

Sebbene le cose appaiano bellissime come un arcobaleno, abbiamo bisogno di vedere che sono prive di esistenza intrinseca e di non essere attaccati.

(24) La pratica di un bodhisattva è, nel periodo in cui si incontrano condizioni avverse, di considerarle ingannevoli, poiché varie sofferenze sono come la morte di nostro figlio in un sogno e considerare (tali) apparenze ingannevoli come fossero vere è uno spreco fastidioso.

Pertanto abbiamo bisogno di vedere ogni cosa come apparenze ingannevoli e di non deprimersi per via di condizioni difficili. Questi sono gli insegnamenti sullo sviluppo del bodhichitta convenzionale e più profondo. Poi c’è la pratica dei sei atteggiamenti lungimiranti (le sei perfezioni).

I sei atteggiamenti lungimiranti

(25) La pratica di un bodhisattva è di dare generosamente senza augurarsi nulla in cambio e di qualcosa karmica che maturi, perché, se coloro che vorrebbero l’illuminazione devono donare persino i loro corpi, che bisogno c’è di menzionare i possedimenti esterni?

Questa è la pratica della generosità lungimirante.

(26) La pratica di un bodhisattva è di proteggere l’autodisciplina etica senza intenzioni mondane, perché, se non possiamo soddisfare i nostri stessi scopi senza disciplina etica, il desiderio di soddisfare gli scopi degli altri è uno scherzo.

La cosa più importante è avere autodisciplina etica, specialmente la disciplina di astenersi da azioni distruttive. Senza questo, come possiamo aiutare tutti gli altri?

(27) La pratica di un bodhisattva è di accumulare come un’abitudine la pazienza, senza ostilità o repulsione verso nessuno, perché, per un bodhisattva che desidera un’abbondanza di forza positiva, tutti coloro che provocano danno sono identici a tesori di gemme.

Abbiamo bisogno di molta pazienza. Per un bodhisattva che desidera accumulare la forza positiva necessaria per ottenere l’illuminazione, coloro che fanno del male, i nostri nemici, sono preziosi come gemme. Questo perché con loro possiamo praticare la pazienza. Questo accumula e rafforza la nostra rete di forza positiva, che determinerà il nostro ottenimento dell’illuminazione.

(28) La pratica di un bodhisattva è di esercitare perseveranza, la fonte di buone qualità per gli scopi di tutti gli esseri erranti, siccome possiamo vedere che persino gli shravaka e i pratyekabuddha, che conseguirebbero soltanto i loro scopi, hanno una perseveranza tale che lascerebbero perdere un incendio che è scoppiato sulle loro teste.

Questo si riferisce ad avere perseveranza con appassionante energia per il comportamento costruttivo. Se i praticanti Hinayana possono lavorare così duramente per ottenere gli obiettivi [che desiderano] per loro stessi, allora noi – come praticanti Mahayana che lavorano per il bene di tutti – abbiamo bisogno di lavorare ancora più duramente.

(29) La pratica di un bodhisattva è di accumulare come un’abitudine una stabilità mentale che sorpassa puramente i quattro (assorbimenti) senza forma, realizzando che uno stato della mente eccezionalmente percettivo, pienamente dotato di uno stato sereno e stabile, può sconfiggere totalmente le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti.

Questo si riferisce all’atteggiamento lungimirante della stabilità mentale (concentrazione) nel contesto del sutra. Così, per realizzare uno stato mentale eccezionalmente percettivo di vipashyana (visione profonda speciale), dobbiamo ottenere per prima cosa uno stato sereno e stabile di shamatha (quiescenza mentale, calma dimorante) per mantenerlo. Allora avremo la coppia congiunta, inseparabile, di shamatha e vipashyana.

(30) La pratica di un bodhisattva è di accumulare come un’abitudine la consapevolezza discriminante che sia unita ai metodi e che non ha nessuna concezione riguardo i tre ambiti, perché senza consapevolezza discriminante, i cinque atteggiamenti di vasta portata non possono determinare l’ottenimento dell’illuminazione completa.

Non possiamo ottenere l’illuminazione soltanto con il lato del metodo, ovvero i primi cinque atteggiamenti lungimiranti. Abbiamo anche bisogno del lato della saggezza. Pertanto abbiamo bisogno di coltivare inseparabilmente il metodo e la saggezza. Abbiamo bisogno della consapevolezza discriminante per vedere come i tre ambiti di qualunque azione costruttiva basata su questi atteggiamenti lungimiranti – ovvero l’agente, l’oggetto, e l’azione stessa – siano tutti privi di esistenza intrinseca.

Il prossimo riguarda la pratica quotidiana di un bodhisattva.

La pratica quotidiana di un bodhisattva

(31) La pratica di un bodhisattva è di esaminare continuamente il nostro autoinganno e poi di liberarci da esso, perché, se non esaminiamo il nostro autoinganno noi stessi, è possibile che con una forma (esterna) dharmica possiamo commettere qualcosa di non dharmico.

In altre parole, abbiamo sempre bisogno di controllare le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti ogni giorno perché, come si dice qui, è proprio possibile che dall’esterno potrebbe sembrare [che ci comportiamo in modo] appropriato, quando in realtà non è affatto così.

(32) La pratica di un bodhisattva è di non parlare dei difetti di una persona che è entrata nel Mahayana, perché, se sotto il potere di emozioni e atteggiamenti disturbanti, parliamo dei difetti degli altri che sono dei bodhisattva, noi stessi degenereremo.

Abbiamo bisogno di smettere di esaminare gli altri con l’idea di cercare di trovare difetti in loro. Non sappiamo mai chi potrebbero essere o quali siano le loro realizzazioni. Specialmente come praticanti Mahayana, abbiamo bisogno di avere soltanto pensieri [tali per cui desideriamo] aiutarli e beneficiarli, non di trovare difetti in loro.

(33) La pratica di un bodhisattva è di liberarci dall’attaccamento alle case di parenti e amici e alle case di benefattori, perché, sotto il potere di (volere) guadagno e rispetto, litigheremo tra di noi e le nostre attività di ascoltare, pensare e meditare diminuiranno.

Ci sono molti pericoli se stiamo sempre nelle case di benefattori, parenti eccetera. Inevitabilmente rimarremo invischiati in situazioni complicate di discussioni, liti, eccetera. Pertanto dobbiamo evitare l’attaccamento per luoghi simili.

(34) La pratica di un bodhisattva è di liberarci dal linguaggio crudele [che è] spiacevole alle menti di altri, poiché parole crudeli disturbano le menti degli altri e fanno sì che i nostri modi di comportamento da bodhisattva diminuiscano.

La radice della rabbia è l’attaccamento alla nostra parte. Ma qui, la rabbia stessa viene sottolineata, specialmente quando porta a un linguaggio offensivo. Tali parole minacciose distruggono la nostra forza positiva, disturbano gli altri, e causano danno.

(35) La pratica di un bodhisattva è di fare in modo che il militare della ritenzione mentale e della vigilanza tenga in mano le armi opponenti e di distruggere con forza le emozioni e atteggiamenti disturbanti, come l’attaccamento eccetera, proprio non appena esse sorgano, perché, quando siamo abituati alle emozioni e atteggiamenti disturbanti, è difficile che gli opponenti le facciano indietreggiare.

Non appena sorge l’attaccamento o l’avversione, abbiamo immediatamente bisogno di impiegare la ritenzione mentale e la vigilanza per neutralizzarli.

(36) In breve, la pratica di un bodhisattva è (di lavorare) per soddisfare gli scopi degli altri possedendo continuamente la ritenzione mentale e la vigilanza per sapere, a prescindere da dove o quale modalità di comportamento stessimo adottando, qual è la condizione della nostra mente.

Come si afferma nel testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva, abbiamo continuamente bisogno di esaminare la nostra mente e notare la sua condizione. Poi, con ritenzione mentale (presenza mentale), abbiamo bisogno immediatamente di applicare i vari opponenti per qualunque emozione e atteggiamento disturbante che potrebbe essere presente. Ad esempio, se fossimo su una carovana e raggiungessimo l’altopiano settentrionale del Tibet, saremmo molto consapevoli e attenti di non andare in un posto qualsiasi. Sceglieremmo il sentiero corretto con molta cura; altrimenti potremmo perderci facilmente. Allo stesso modo, abbiamo bisogno che le nostre menti semplicemente non vadano dappertutto.

(37) La pratica di un bodhisattva è, con la consapevolezza discriminante della completa purezza dei tre ambiti, di dedicare all’illuminazione le forze costruttive realizzate da sforzi come questi, al fine di eliminare le sofferenze di infiniti esseri erranti.

Quindi l’ultima pratica dei bodhisattva qui citata consiste nel dedicare all’illuminazione e il beneficio degli altri la forza positiva di tutte queste azioni. Questo completa il corpo effettivo del testo. Poi abbiamo la terza parte dello schema, la conclusione.

Conclusione

Avendo seguito le parole degli esseri consacrati e il significato di ciò che è stato dichiarato nei sutra, nei tantra, e nei trattati, io ho preparato (queste) pratiche dei bodhisattva, trenta e sette, per gli scopi di coloro che desiderano addestrarsi nel sentiero dei bodhisattva.

L’autore ha preso questi insegnamenti da varie fonti, condensandoli in queste trentasette pratiche.

Poiché la mia intelligenza è debole e la mia educazione è scarsa, potrebbero non essere in una metrica che soddisferebbe gli eruditi. Ma, poiché mi sono affidato ai sutra e alle parole di individui consacrati, io penso che (queste) pratiche dei bodhisattva non traggano in inganno.

Poi l’autore si scusa se ha commesso qualunque errore.

Ciononostante, poiché è difficile per qualcuno ottuso come me comprendere le profondità delle grandi onde del comportamento dei bodhisattva, io richiedo agli individui consacrati di essere pazienti con la mia massa di difetti, come contraddizioni, assenza di connessioni, e simili.

Quindi conclude con la dedica finale.

Grazie alla forza costruttiva che proviene da questo, possano tutti gli esseri erranti, attraverso il bodhichitta convenzionale e il supremo più profondo, diventare pari al Guardiano Avalokiteshvara, che non dimora mai negli estremi dell’esistenza compulsiva samsarica o del compiacimento nirvanico. Questo è stato composto nella caverna Rinchen a Ngulchu dal monaco disciplinato Togme, un maestro di scrittura e logica, per il suo bene e per il bene degli altri.

Questo conclude le 37 pratiche dei bodhisattva di Togme Zangpo.

Leggi il testo originale “37 pratiche dei bodhisattva” di Togme Zangpo.

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