La mia storia

Lo studio accademico del Buddhismo e l'effettiva attuazione degli insegnamenti buddhisti nella vita quotidiana sono due mondi diversi. È stato spesso detto che il solo studio intellettuale del Buddhismo non sia di grande beneficio per la tua vita. Il dott. Alexander Berzin, studioso e praticante, parla della sua esperienza dell’avere un piede sia nel mondo accademico che in quello spirituale.

La generazione Sputnik

Sono nato in America nel 1944, in una famiglia molto comune che non aveva molti soldi, erano solo persone che lavoravano, non avevano nemmeno molta istruzione. Tuttavia, sin da giovane avevo un fortissimo interesse istintivo per le cose asiatiche. Questo non era incoraggiato dalla mia famiglia ma nemmeno scoraggiato e, comunque, a quei tempi non erano disponibili molte informazioni sull'Asia. Quando avevo 13 anni iniziai a praticare lo yoga con un amico e lessi tutto quello che potevo e che era disponibile sul Buddhismo, il pensiero indiano, il pensiero cinese e così via.

Facevo parte di ciò che l'America chiamava la "generazione Sputnik". Quando lo Sputnik andò nello spazio l'America ne fu molto, molto turbata perché pensavamo di essere troppo indietro rispetto alla Russia. Tutti i bambini a scuola, incluso me stesso, furono incoraggiati a studiare la scienza in modo da poter raggiungere la Russia. Così, all'età di 16 anni, andai all’università di Rutgers per studiare chimica. L’università Rutgers si trova nel New Jersey, dove sono cresciuto e sebbene Geshe Wangyal, un maestro calmucco mongolo, vivesse a soli 50 chilometri di distanza, non avevo nessuna idea della sua esistenza.

Come parte dei miei studi seguii un corso aggiuntivo in studi asiatici, che parlava del modo in cui il Buddhismo fu trasmesso da una civiltà all'altra e di come ogni civiltà lo avesse capito in un modo diverso. Sebbene avessi solo 17 anni, mi fece una tale impressione che dissi: "Questo è ciò in cui voglio essere coinvolto: l'intero processo del passaggio del Buddhismo da una civiltà a un'altra". E questo è ciò che seguii per il resto della mia vita senza nessuna deviazione o cambiamento.

Princeton: dalla chimica alla lingua, al pensiero e alla filosofia cinesi

All’università di Princeton fu avviato un nuovo programma per attirare più studenti nel dipartimento di studi asiatici. Allora c'erano pochissimi studenti; eravamo agli inizi della guerra del Vietnam e davvero pochissimi americani conoscevano le lingue asiatiche. Ero molto emozionato perché c'era l'opportunità di studiare il cinese, quindi feci domanda e fui accettato. A 18 anni iniziai a studiare il cinese a Princeton, dove completai gli ultimi due anni del mio diploma di maturità.

Sono sempre stato interessato a come la filosofia cinese abbia influenzato il modo in cui il Buddhismo fu compreso quando si diffuse in Cina e poi a come il Buddhismo abbia influenzato in seguito la filosofia cinese. Così studiai il pensiero cinese, la filosofia, la storia, il Buddhismo e così via. Fui mandato in scuole intensive di lingue durante le estati: un anno ad Harvard, un anno a Stanford per iniziare a studiare il cinese classico e, dopo aver conseguito la laurea, un'estate a Taiwan. Per i miei studi universitari tornai ad Harvard: avevo già iniziato a studiare il giapponese come parte del programma di cinese e, quando completai il master in Lingue dell'Estremo Oriente, avevo già compiuto studi cinesi molto estesi.

Studi comparati di cinese, sanscrito e tibetano

Volevo conoscere bene il lato indiano così come conoscevo la parte cinese, per vedere quali erano le influenze nello sviluppo del Buddhismo e così iniziai a studiare il sanscrito. Ho ricevuto un dottorato congiunto da due dipartimenti: quello di Sanscrito e di Studi Indiani e quello di Lingue dell'Estremo Oriente. Gli studi di sanscrito e indiani portarono al tibetano e l'enfasi fu posta sulla filosofia e sulla storia del Buddhismo.

Sapete, ho una forte sete di conoscenza così seguii corsi supplementari di filosofia e psicologia, mantenendo il mio interesse per la scienza attraverso tutto questo. In questo modo completai i miei studi e imparai i metodi buddhologici generali di comparazione delle traduzioni. Osservavamo i testi buddhisti in sanscrito e poi confrontavamo il modo in cui erano stati tradotti in cinese e tibetano, oltre a studiare la storia dello sviluppo delle idee e come ciò sia correlato alla storia generale. Questo tipo di formazione fu molto utile per tutta la mia carriera.

Da Harvard alla tradizione vivente

In tutto questo fui sempre interessato a come sarebbe stato pensare in questo modo, di tutte le filosofie e religioni dell'Asia che stavo studiando: le diverse forme di Buddhismo e Induismo, Taoismo e Confucianesimo. Ma non c'erano effettive opportunità di entrare in contatto con la tradizione vivente: era come se stessi studiando le religioni dell'antico Egitto. Il mio interesse, tuttavia, era molto alto.

Ma quando iniziai a studiare il tibetano nel 1967, Robert Thurman era tornato ad Harvard ed eravamo compagni di classe. Thurman era stato uno degli studenti più vicini di Geshe Wangyal e aveva vissuto con lui per diversi anni. Era stato anche monaco per circa un anno ed era andato in India per studiare a Dharamsala. Fu lui a parlarmi di Geshe Wangyal e della possibilità di studiare a Dharamsala, dove si trovavano i tibetani e Sua Santità il Dalai Lama. Iniziai a fare visita a Geshe Wangyal nel suo monastero nel New Jersey ogni volta che andavo a casa per le vacanze, iniziando a capire come fosse il Buddhismo quale tradizione vivente. Sebbene abbia visitato Geshe Wangyal molte volte, non ebbi mai l'opportunità di vivere e studiare con lui. Tuttavia, mi ispirò ad andare in India e a continuare i miei studi lì, così feci domanda per una borsa di studio Fulbright per potere svolgere la mia tesi di ricerca in India con i tibetani.

Giunsi in India nel 1969 all'età di 24 anni e lì incontrai Sua Santità il Dalai Lama, immergendomi completamente nella società tibetana. Mi sentivo come se tutta la mia vita fino ad allora fosse stata come un nastro trasportatore che mi aveva condotto lì - da una famiglia comune nel New Jersey, a borse di studio complete a Princeton e Harvard e ora al Dalai Lama e ai grandi maestri tibetani che lo circondavano. Vidi che tutto ciò che avevo studiato sul Buddhismo tibetano era molto vivo e qui c'erano persone che conoscevano davvero il significato degli insegnamenti buddhisti. Avevo l'occasione unica di imparare da loro.

Imparare a parlare tibetano a Dalhousie

Quando andai in India, non conoscevo il tibetano parlato. Il mio professore ad Harvard, il professore Nagatomi, in realtà non aveva idea nemmeno di come pronunciarlo. Era giapponese e imparammo il tibetano secondo la grammatica giapponese, perché a quel tempo l'unico libro di testo spiegava la grammatica tibetana paragonandola al latino! Il latino e il tibetano non hanno nulla in comune, mentre la grammatica giapponese è in realtà abbastanza vicina al tibetano.

Dovevo imparare la lingua parlata, ma non c'erano libri di testo o materiali disponibili. Attraverso la mia connessione con Geshe Wangyal, fui in grado di connettermi con due giovani tulku (lama reincarnati), Sharpa e Khamlung Rinpoche, che erano rimasti nel suo monastero per alcuni anni e conoscevano molto bene l'inglese. Vivevano a Dalhousie, dove si erano stabiliti molti rifugiati tibetani. Lì gentilmente mi sistemarono con un monaco tibetano, Sonam Norbu, in una piccola casa sul lato di una montagna. Lui non conosceva l'inglese, io non potevo parlare tibetano ma, vivendo insieme, dovevamo in qualche modo comunicare. Qui la mia formazione buddhologica e di altro tipo riemerse: mi sentivo come un antropologo nel Borneo o in Africa che cercava di capire un'altra lingua.

Tutte le lingue asiatiche che avevo studiato mi aiutarono molto per poter riconoscere i toni della lingua tibetana e fare alcuni progressi. Quando volevo comunicare con Sonam, scrivevo qualcosa (visto che sapevo scrivere in tibetano) e lui mi diceva come pronunciarlo. Lavorammo insieme in questo modo ed ebbi anche alcune lezioni di lingua con altri. Alla fine, i due giovani rinpoche mi suggerirono di studiare con il loro insegnante, Geshe Ngawang Dhargyey.

Lo studio del lam-rim in una stalla

Ero andato in India per scrivere la mia tesi e, sebbene avessi programmato di fare ricerche sul vastissimo argomento del tantra di Guhyasamaja, Serkong Rinpoche, uno degli insegnanti di Sua Santità il Dalai Lama da cui ero andato per un consiglio, mi convinse che era totalmente assurdo e che ero completamente impreparato per questo. Trijang Rinpoche, il precettore junior di Sua Santità, mi suggerì di studiare invece il lam-rim, gli stadi graduali del sentiero, in primo luogo. A quel tempo nulla era stato tradotto a riguardo, quindi per me era completamente nuovo. All’epoca gli unici libri disponibili sul Buddhismo tibetano erano quelli di Alexandra David-Neel, Evans-Wentz, Lama Govinda e pochi altri. Studiai la tradizione orale del lam-rim con Geshe Ngawang Dhargyey e poi fondai la mia tesi su questo.

Vissi in modo molto primitivo a Dalhousie, senza acqua in casa e senza servizi igienici. Geshe Dhargyey viveva in un modo ancora più primitivo: in una capanna che era stata usata per ospitare una mucca prima di lui. C'era appena abbastanza spazio per il suo letto e un po' davanti al letto dove i suoi tre giovani discepoli e io sedevamo sul pavimento di fango mentre insegnava. Jhado Rinpoche si era unito a Sharpa, Khamlung Rinpoche ed io; in seguito divenne l'abate del monastero di Sua Santità il Dalai Lama, il monastero di Namgyal. Questa stalla, piena di mosche e ogni sorta di altri insetti, era dove studiavamo.

Questo fu un periodo davvero entusiasmante perché stavano iniziando tante cose nuove. Sua Santità il Dalai Lama si interessò a quello che stavamo facendo, ai nostri studi e così ci diede alcuni brevi testi da tradurre per lui. Quando Sua Santità fece costruire la Biblioteca delle Opere e degli Archivi Tibetani a Dharamsala, chiese a Geshe Dhargyey di essere l'insegnante per gli occidentali e a Sharpa e Khamlung Rinpoche, che mi avevano aiutato, di essere i traduttori. Chiesi se potevo anch’io essere di aiuto e Sua Santità rispose: "Sì, ma prima torna in America, consegna la tua tesi, prendi la laurea e poi ritorna".

Adattarsi alla società tibetana: diventare un traduttore

Durante questo primo periodo in India cercai di adattarmi alla società tibetana assumendo un ruolo tradizionale a cui poteva relazionarsi: diventai così traduttore. Ero estremamente interessato ad iniziare la mia pratica buddhista e così, all'inizio del 1970, diventai formalmente buddhista e iniziai la pratica meditativa. Da allora continuai a meditare ogni giorno.

Nel ruolo di traduttore sono necessarie non solo le abilità linguistiche ma anche una comprensione molto profonda del Buddhismo, che significa meditare e mettere in pratica gli insegnamenti nella vita reale. Non c'è modo di tradurre termini tecnici che discutono di stati mentali diversi o esperienze diverse in meditazione, senza averli effettivamente vissuti in prima persona. I termini di traduzione in uso erano stati scelti principalmente da missionari che erano interessati soprattutto a tradurre la Bibbia in tibetano e avevano ben poco in comune con il significato reale delle parole nel Buddhismo. Quindi fin dagli inizi unii la mia pratica alla formazione buddhologica che avevo avuto.

Tornai ad Harvard alla fine del 1971 e, dopo alcuni mesi, consegnai la mia tesi e presi il mio dottorato nella primavera del 1972. Il mio professore aveva organizzato un ottimo lavoro di insegnante per me in un'altra prestigiosa università, dal momento che avevo sempre voluto diventare un professore universitario, ma rifiutai. Non volevo passare il resto della mia vita con persone che immaginavano solo il significato del Buddhismo: volevo invece stare con coloro che sapevano esattamente cosa significasse, studiando e imparando dalla tradizione autentica, pur mantenendo la mia prospettiva oggettiva della formazione buddhologica che avevo ricevuto. Certo il mio professore pensava fossi pazzo, ma tuttavia tornai in India. Era molto economico vivere lì, quindi era possibile.

La mia nuova vita indiana

Mi trasferii a Dharamsala e cominciai a lavorare con Geshe Ngawang Dhargyey, Sharpa e Khamlung Rinpoche, che stavano già lavorando alla Biblioteca. Vivevo in una baracca ancora più piccola di quella di Dalhousie, sempre senza acqua o servizi igienici e nemmeno un vetro sull’unica finestra. Anche Sonam Norbu, il monaco tibetano con cui ero stato, venne a stare con me. Complessivamente vissi in India in quella baracca molto semplice che era la mia casa per 29 anni.

In quel periodo contribuii a creare l'Ufficio di traduzione presso la Biblioteca per Sua Santità e continuai i miei studi. Vidi che il mio retaggio buddhologico mi forniva gli strumenti per approfondire effettivamente gli insegnamenti buddhisti. Conoscevo la storia e i nomi dei vari testi e conoscevo persone che mi insegnavano il vero contenuto, così potevo mettere insieme le cose abbastanza facilmente. Sua Santità il Dalai Lama mi incoraggiò di studiare tutte le quattro tradizioni tibetane - anche se studiai principalmente quella Gelug - così da poter vedere il quadro più ampio dell'intero ambito del Buddhismo tibetano. È stato un periodo molto eccitante perché, a quei tempi, la gente non aveva nessuna idea della reale estensione di ciò che era contenuto negli insegnamenti buddhisti tibetani.

Allenamento di memoria e umiltà con Serkong Rinpoche

Nel 1974 iniziai a studiare con uno degli insegnanti di Sua Santità il Dalai Lama, Serkong Rinpoche, che avevo incontrato brevemente nel 1969. Fin dall'inizio del nostro contatto a Dharamsala, vide che avevo il collegamento karmico per essere il suo traduttore e in seguito per Sua Santità il Dalai Lama, così mi addestrò in questo. Sebbene stessi già traducendo libri, questo era un addestramento alla traduzione orale e all'insegnamento. Mi faceva sedere vicino a lui per vedere come si comportava con persone diverse. Allenava anche la mia memoria: ogni volta che ero con lui si fermava all'improvviso e diceva: "Ripeti parola per parola ciò che ho appena detto" o "Ripeti ciò che hai appena detto, parola per parola".

Iniziai a tradurre per lui l’anno seguente quando insegnava ad altri occidentali. Non mi dava mai insegnamenti quando ero solo con lui, imparavo sempre traducendo per qualcun altro, ad eccezione del Kalachakra. Il Kalachakra me lo insegnò in privato; vide che avevo una connessione profonda. Non mi fu mai permesso di prendere appunti durante qualunque insegnamento, ma dovevo sempre ricordare tutto e annotarlo dopo. Dopo un po’ non mi permise nemmeno di scrivere appunti dopo la lezione. Mi avrebbe dato altre cose da fare e poi avrei potuto solo scrivere tutto di notte tardi.

Come Geshe Wangyal faceva con i suoi studenti più stretti, Serkong Rinpoche mi rimproverava tutto il tempo. Ricordo che una volta quando stavo traducendo per lui, gli chiesi che cosa significasse la parola che aveva appena detto, perché non la capivo. Mi guardò in malo modo e disse: "Ti ho spiegato quella parola sette anni fa. Perché non te la ricordi? Io me lo ricordo!".

Il suo nome preferito per me era "idiota" e non mancava mai di sottolineare quando mi comportavo come tale, soprattutto di fronte ad altre persone. Questa è stata una formazione eccellente. Ricordo che una volta, quando tradussi per Sua Santità il Dalai Lama, c'era un pubblico di circa 10.000 persone e Sua Santità mi fermò, rise e disse: "Ha appena commesso un errore". Grazie al mio addestramento a essere stato chiamato un idiota tutto il tempo, fui in grado di continuare a tradurre e non solo a strisciare sotto il tappeto. Tradurre richiede un'attenzione incredibile e un'enorme memoria, quindi fui molto fortunato non solo ad aver ricevuto una formazione buddhologica, ma anche un addestramento tradizionale tibetano.

Mi formai molto intensamente con Serkong Rinpoche per 9 anni. Tradussi per lui, l'aiutai con le sue lettere e viaggi e in tutto quel tempo mi disse "grazie" solo due volte. Anche questo mi è stato molto utile perché, come era solito dire: cosa mi aspetto? Di ricevere una pacca sulla testa e poi di scodinzolare come un cane? La nostra motivazione per tradurre deve essere quella di beneficiare gli altri, non di essere elogiato con un "grazie". Naturalmente, tutta la mia meditazione e pratica buddhista era assolutamente essenziale per poter passare attraverso questo processo di formazione tradizionale senza mai arrabbiarmi o arrendermi.

Aiutare a costruire un ponte tra culture

Serkong Rinpoche morì nel 1983. Dopodiché iniziai a ricevere inviti e a viaggiare in tutto il mondo per dare lezioni, in quanto avevo già visitato molti di questi posti come traduttore di Rinpoche. A quel tempo, stavo già traducendo a volte per Sua Santità il Dalai Lama. Ma la traduzione non riguarda solo le parole, ma anche la spiegazione e la traduzione delle idee. In quei primi incontri che Sua Santità aveva con psicologi, scienziati e leader religiosi occidentali, il mio compito era di spiegare fondamentalmente le loro idee, non le loro parole (perché la maggior parte delle parole non c’è in tibetano) e di creare un ponte culturale. Questo era esattamente ciò che mi aveva sempre interessato sin da giovanissimo: come creare un ponte tra culture diverse in termini di insegnamenti buddhisti. Per fare un tale ponte, devi conoscere bene entrambe le culture, sapere come pensano le persone e com'è la loro vita. Ebbi quindi il privilegio grande e molto raro di poter vivere con i tibetani per così tanto tempo, acquisendo una profonda familiarità con il modo in cui pensano, il modo in cui vivono e così via. Questo è stato assolutamente essenziale nella trasmissione del Buddhismo.

Così cominciai e mi fu anche chiesto di realizzare vari progetti internazionali per Sua Santità il Dalai Lama. Una delle cose principali era cercare di aprire il mondo a Sua Santità e ai tibetani. Non avevano passaporti, solo documenti di rifugiati e quindi non potevano ottenere visti in nessun paese se non venivano invitati. Ma avevano contatti solo in pochi posti. Ora il mio dottorato di ricerca di Harvard mi fu molto utile, perché potei essere invitato in tutto il mondo a tenere lezioni presso le università. In questo modo strinsi dei contatti che avrebbero portato in futuro ad inviti all’estero per i tibetani e alla fine per Sua Santità e all'apertura degli uffici di Sua Santità in diverse regioni del mondo. Nel 1985 iniziai a recarmi in tutti i paesi ex-comunisti, in quasi tutti i paesi dell'America latina e in vaste aree dell'Africa. Poi cominciai a recarmi in Medio Oriente per aprire un dialogo tra buddhisti e musulmani.

In tutto questo mi concentrai sulla stesura di rapporti da inviare a Sua Santità, in modo che potesse conoscere un po’ la cultura e la storia di ogni paese che visitavo. Di nuovo, il mio background di Harvard mi permise di incontrare i vari leader religiosi di questi paesi e di imparare da loro di più sulle loro religioni, così che quando Sua Santità visitava questi paesi, avrebbe avuto una chiara idea di quali fossero le loro credenze. Tutta la formazione buddhologica e scientifica che possedevo mi aiutava a vedere ciò che era importante, organizzarlo e presentarlo in un modo che sarebbe stato utile.

Fui coinvolto in così tanti progetti. Uno dei più interessanti è stato un progetto che utilizzava la medicina tibetana per aiutare le vittime di Chernobyl, organizzato dal Ministero della Sanità dell'Unione Sovietica. Sebbene la medicina tibetana si sia dimostrata estremamente efficace, quando l'Unione Sovietica si sciolse, la Russia, la Bielorussia e l'Ucraina si rifiutarono di collaborare al progetto e insistettero perché montassimo tre progetti completamente separati, il che era fisicamente e finanziariamente impossibile. Purtroppo, quella fu la fine del progetto.

Un altro progetto entusiasmante è stato organizzare la traduzione e la pubblicazione di libri di Bakula Rinpoche in lingua mongola moderna, per aiutare la rinascita del Buddhismo nella regione. Bakula Rinpoche era l'ambasciatore indiano in Mongolia all'epoca.

Il ritorno in occidente

Complessivamente ho viaggiato e insegnato probabilmente in più di 70 paesi in tutto il mondo. Durante tutto questo ho mantenuto la mia pratica meditativa quotidiana, che è stata molto utile nel permettermi di andare avanti. Col passare del tempo continuai ad essere invitato in più posti per insegnare e tenere conferenze. I tour di conferenze diventavano sempre più lunghi; il più lungo fu di quindici mesi: due o tre città diverse ogni settimana, viaggiando dappertutto. Con tutti questi viaggi, è stata la pratica di meditazione buddhista che mi diede la stabilità per fare tutto questo, specialmente perché viaggiavo sempre da solo.

In questi anni scrissi diversi libri e a un certo punto scoprii che non era molto facile lavorare con il mio editore, Snow Lion, dal momento che vivevo in India. Inoltre volevo andare nella direzione di internet e questo era troppo difficile da fare in India. Così nel 1998 mi trasferii dall'India in occidente. Dopo un anno passato a provare vari luoghi in cui ero stato invitato, decisi di stabilirmi a Berlino, in Germania. Conoscevo già il tedesco, quindi non era un problema e lì mi fu data la massima indipendenza. Questo era molto importante per me: non volevo essere legato a nessuna organizzazione. Berlino era anche una posizione comoda per continuare a viaggiare facilmente nei paesi dell'Europa orientale, la Russia e le ex repubbliche sovietiche dove avevo spesso insegnato e verso le quali sentivo un legame particolarmente stretto.

Giunsi in occidente con più di 30.000 pagine di manoscritti inediti - diversi libri incompleti che avevo scritto, annotazioni per questi ultimi, traduzioni di testi che avevo studiato e trascrizioni di alcune delle mie conferenze e delle lezioni dei miei maestri che avevo tradotto. C'erano anche pile di appunti che avevo preso dagli insegnamenti di Sua Santità, dai suoi tre maestri principali e da Geshe Dhargyey. Ero molto preoccupato che tutto questo potesse finire nella spazzatura quando sarei morto.

Gli Archivi Berzin

Avevo avuto una posizione così incredibilmente privilegiata e del tutto singolare, studiando per così tanto tempo con il più grande dei grandi lama dell'ultima generazione. Quello che avevo imparato e registrato era troppo prezioso ed era davvero necessario condividerlo con il mondo. I libri possono essere molto belli da tenere e guardare, ma non raggiungono un pubblico molto vasto a meno che non si scriva un best-seller e nessuno dei miei libri lo era. In generale i libri sono costosi da produrre; sono costosi da comprare; richiedono una quantità enorme di tempo per essere preparati e non è possibile correggerli fino all’edizione seguente. Anche se sono un grande fan dello studio della storia, sono anche un grande fan del guardare al futuro e il futuro è internet. In realtà anche il presente è internet. Con questo in mente, ho deciso di mettere tutto il mio lavoro in un sito web e così cominciai berzinarchives.com nel novembre del 2001.

Il principio più importante che ho sempre seguito è che sul sito web tutto dovrebbe essere disponibile gratuitamente, senza pubblicità e senza vendere nulla. Il materiale sul sito include tutti i vari aspetti del Buddhismo tibetano, copre le quattro tradizioni tibetane anche se principalmente la tradizione Gelug. C'è anche molto materiale comparativo, sulla medicina tibetana, astrologia, storia buddhista, storia asiatica, storia tibetana e molto materiale sul rapporto tra Buddhismo e Islam. Sono anche un sostenitore molto forte del far tradurre le cose in molte lingue.

Il lavoro con la sezione musulmana è molto, molto importante, io sento, e Sua Santità il Dalai Lama sostiene questo molto intensamente. Dai miei viaggi nel mondo islamico e dalle conferenze nelle università che ho avuto in quelle regioni, mi è chiaro che le persone hanno sete della conoscenza del mondo. È fondamentale per l'armonia globale non escluderli, ma rendere disponibili anche a loro gli insegnamenti del Tibet ma senza nemmeno un accenno al cercare di convertirli al Buddhismo.

Conclusione finale

Così questa è una parte della mia storia. Durante tutto questo ho mantenuto una pratica buddhista molto intensa. Ad esempio, durante la maggior parte di questi anni ho meditato per circa due ore al giorno. Ho anche compiuto molti lunghi ritiri di meditazione. Ultimamente ho abbreviato il tempo della mia meditazione, ma pratico comunque almeno 30 minuti ogni giorno. E la forte enfasi negli insegnamenti sulla compassione, sulla motivazione appropriata, sul superamento dell'egoismo e così via, sono sempre stati gli aspetti principali che sottolineo sempre. Con l'ispirazione dei miei insegnanti, a partire da Geshe Wangyal che mi ha condotto a Sua Santità il Dalai Lama, e da lì ai maestri del Dalai Lama, sono stato in grado di condurre una vita significativa che spero sia stata utile e benefica per gli altri, unendo la pratica buddhista e la buddhologia, sia dal lato esperienziale che da quello oggettivo del Buddismo. Forse la mia storia può ispirare alcuni di voi a fare lo stesso.

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